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3 decenni, 3 film, 3 stili di interior design

Il mondo dell’arte è fatto di commistioni, di influenze e di stili in continua evoluzione. Le 7 arti sono in costante dialogo tra loro: si contaminano, si ispirano, si consigliano e si sfidano in un melting pot di linguaggi e forme. L’interior design ovviamente non può esimersi dal partecipare a questo incredibile stream of consciousness e oggi vi parliamo della relazione intensa tra il nostro mondo e quello del cinema.

La scenografia è una parte fondamentale nel linguaggio di un film, tanto che spesso ne diventa coprotagonista silenziosa e imprescindibile. Immaginare certi lungometraggi senza gli elementi d’arredo che li hanno resi iconici è ormai impossibile: Scarface sarebbe lo stesso senza la doppia scalinata in velluto rosso e la jacuzzi? Le Djinn chair sarebbero diventante così iconiche anche senza 2001: Odissea nello spazio? Probabilmente no.

 

IL GRANDE GATSBY E LO SFARZO DELL’ETÀ DEL JAZZ

La regia di Baz Luhrmann si è sempre contraddistinta che la precisione ossessiva e calligrafa di ogni dettaglio scenografico. Dall’incredibile trasposizione di Romeo + Juliet (chi non ha impressa nella mente la camera di Giulietta ricolma di statuine religiose?), al romanticismo lirico bardato di drappi di velluto rosso di Moulin Rouge, ogni suo lungometraggio da un’importanza fondamentale alla scenografia e anche il Grande Gatsby è un esemplare perfetto di questa cifra stilistica.

Ambientato nei ruggenti anni ’20, l’arredamento della casa di Gatsby è brillante e rispecchia il boom economico della New York di quel periodo. Uno stile art déco inconfondibilmente raffinato ed elegante, ricco d’oro e di specchi che contraddistinguono l’interior design del set cinematografico, riflettendo minuziosamente la cosiddetta età del Jazz. Gatsby stesso rappresenta il sogno americano, o meglio la morte del sogno americano, una visione onirica puramente materialistica, che fallisce in quanto irreale e piena di mere illusioni. Il boom economico e il legame ai beni materiali riverbera nei colori utilizzati delle decorazioni e arredamenti: via libera quindi a un utilizzo esagerato di giallo e oro, simboli dei soldi e del lusso che si ritrovano perfino nella carrozzeria dell’auto di Gatsby e negli abbigliamenti.

Anche Daisy viene ugualmente rappresentata dalla sua casa: qui prevalgono infatti il bianco e il blu per tuta la magione. Il bianco rappresenta la purezza e l’innocenza, qualità che da sempre Gatsby attribuisce a Daisy, mentre il blu e l’azzurro sono il simbolo dell’illusione e rispecchia il suo matrimonio di facciata con T.J. Eckleburg.

GRAND BUDAPEST HOTEL: RACCONATRE IL PASSARE DEGLI CON L’INTERIOR DECOR

La critica è unanime nel definire Grand Budapest Hotel il capolavoro di Wes Anderson e noi siamo completamente d’accordo. Lo stile andersoniano è diventato iconico nel corso degli anni proprio grazie al magistrale uso di scenografia e fotografia. Nel caso di Grand Budapest Hotel, l’utilizzo degli arredi è fondamentale nel raccontare la storia: negli anni di grande sfarzo dell’hotel, tra gli anni ’20 e gli anni ’30, l’arredo è caratterizzato da uno stile art nouveu mittleuropeo dai tona pastello. Negli anni ’60, invece, si passa dalle boiserie alle pareti in legno, da palette rosa confetto a giallo ocra, da sedie in legno lavorato e tavolini in marmo a poltrone di pelle, dal marmo a superfici laccate. Anche la palette di colori si adatta a questa fase decadente e dai colori pastello si passa al giallo ocra, arancione bruciato, verde oliva, marrone, giallo ocra, bordeaux.

 IO SONO L’AMORE: L’ALTA BORGHESIA LOMARDA E IL RAZIONALISMO

In questo film del 2009 il regista Luca Guadagnino racconta la storia di una famiglia di industriali lombarda divisa tra apparenza, amori segreti e desideri inconfessabili. La co-protagonista di questa storia è l’incredibile Villa Necchi-Campiglio di Milano, magione sospesa tra il razionalismo e l’art-decò progettata dall’architetto Piero Portaluppi negli anni ’30. Lo stesso regista ha dichiarato che la ricerca del set perfetto per la sua storia è durata 3 anni e che quando si è finalmente imbattuto in Villa Necchi-Campiglio è stato un segno del destino: nessun’altra villa avrebbe potuto essere più indicata per la famiglia Recchi. D’altronde la vera storia di questo gioiello di architettura è proprio quella di una delle più grandi famiglie di industriali lombardi: i Necchi-Campiglio, proprietari dell’omonima azienda di macchine da cucire. La villa è stata progettata letteralmente senza budget dall’architetto Portaluppi ed è un mirabile esempio di razionalismo anni ’30. Oltre alla prima piscina riscaldata esterna in centro a Milano, la villa si distingue per gli interni che rispecchiano esattamente il gusto dell’epoca: la veranda giardino d’inverno, le linee geometriche della biblioteca, gli imponenti bagni in marmo e i salottini di rappresentanza arredati con le chinoiserie. L’apparenza di rigore razionalista della villa è essa stessa la facciata della famiglia Recchi che nasconde i suoi panni sporchi dietro al rigore assoluto e pulito delle linee. Insomma, anche in questo il matrimonio tra scenografia e trama è indissolubile e perfettamente calibrato.

Quali sono i film di cui avete particolarmente amato gli interni e le scenografie? Vi aspettiamo nei commenti mentre prepariamo il prossimo articolo!